I pazienti con malattia renale cronica (MRC) presentano un’elevata prevalenza di aritmie , di cui la più rappresentata è la fibrillazione atriale. Lo stroke causato dalla fibrillazione atriale in questi pazienti è generalmente di gravità maggiore rispetto a quello che si verifica nei pazienti non affetti da malattia renale cronica e inoltre si accompagna a esiti neurologici più severi. Le attuali linee guida ESC sulla fibrillazione atriale raccomandano la terapia anticoagulante per la riduzione del rischio tromboembolico anche nei pazienti con malattia renale cronica, consentendone l’uso fino allo stadio 4. Sono esclusi i pazienti con malattia renale cronica allo stadio 5 (in dialisi). Il farmaco più utilizzato in Europa in questa categoria di pazienti è il Warfarin. La terapia anticoagulante orale con antagonisti della vitamina K (AVK) si è dimostrata efficace nella prevenzione dell’ictus in tali pazienti, associandosi però ad un’accelerata calcificazione vascolare, sia coronarica che periferica, dovuta all’inibizione dell’enzima MGP, una proteina vitamina K-dipendente che previene la calcificazione sistemica rimuovendo il fosfato di calcio dai tessuti. La disponibilità degli anticoagulanti orali diretti (DOAC) offre interessanti prospettive terapeutiche nei pazienti con fibrillazione atriale, soprattutto nei pazienti affetti anche da malattia renale cronica.
I DOAC sono una valida opzione terapeutica alla terapia standard con Warfarin, verso il quale hanno mostrato un valido beneficio clinico netto nei trial registrativi. Le quattro molecole di DOAC ad oggi a disposizione presentano tutte una quota percentuale di escrezione renale: 85% per Dabigatran, 33% per Rivaroxaban, 27% per Apixaban e 50% per Edoxaban.
Questo si traduce in differenti concentrazioni plasmatiche del farmaco a seconda del grado di funzionalità renale: quanto più ridotta è la funzionalità renale, tanto maggiore sarà l’AUC della concentrazione plasmatica e l’emivita del farmaco. Il Rivaroxaban è l’unico dei DOAC con un’emivita plasmatica che si mantiene sostanzialmente costante nonostante il declino della funzionalità renale, fino a valori di filtrato 15ml/min. Il Rivaroxaban è anche l’unico tra i DOAC il cui studio registrativo (il Rocket AF) prevedeva un dosaggio , il 15 mg, apposito per i pazienti con insufficienza renale con clereance tra 49 e i 15 ml/min. Nello studio registrativo Rocket AF il 21% dei pazienti presentava un’insufficienza renale tra 49 e 30 ml/min (calcolata con la formula di Cockcroft Gault) con un’etá media di 79 anni ed un CHADS medio di 3,7. In questo sottogruppo di pazienti Rivaroxaban ha mostrato un’efficacia coerente con la popolazione complessiva ed un vantaggio in termini di sicurezza. Abbiamo oggi dei dati dal mondo reale grazie allo studio XARENO (Xa inhibition in RENal patients whit non-valvular atrial fibrillazion Observational registry). XARENO è il primo studio osservazionale prospettico su pazienti con insufficienza renale moderata e grave che valuta sia il profilo di efficacia che il profilo di sicurezza di Rivaroxaban versus AVK in questo gruppo di pazienti. È stato utilizzato un propensity score allo scopo di bilanciare i 2 gruppi di pazienti trattati (Rivaroxaban versus AVK), un comitato scientifico ha eseguito in cieco l’aggiudicazione degli eventi e il follow up medio (non ancora terminato) è stato di 36 mesi. Gli endpoint primari erano la progressione di CKD valutata in termini di declino del filtrato glomerulare (eGFR), la comparsa di sanguinamenti maggiori, la mortalità per tutte le cause, TIA, stroke, tromboembolismo sistemico, MACE, trombosi venosa profonda, beneficio clinico netto. Lo studio ha arruolato pazienti adulti con CKD nota in stadio 3B–4 (eGFR 15–49 ml/min/1.73 m2) affetti da fibrillazione atriale non valvolare con indicazione alla terapia anticoagulante di cui 764 pazienti nel braccio Rivaroxaban e 691 pazienti nel braccio AVK. In entrambi i bracci i pazienti erano trattati da più di tre mesi con terapia anticoagulante prima dell’arruolamento. Era previsto infine un terzo braccio di non trattati con alcuna terapia anticoagulante (89 pazienti). Dopo bilanciamento con propensity score, i valori basali di eGFR erano sostanzialmente simili nei due gruppi, così come le comorbidità associate (ipertensione arteriosa, diabete mellito, cardiopatia ischemica, stroke /TIA, scompenso cardiaco). Dei 1455 pazienti arruolati, il 65% presentava valori di eGFR compresi tra 30 e 49 ml/min e il 21% un eGFR compreso tra 15 e 29 ml/min; nell’ambito di questo secondo gruppo di pazienti, il 18% era in trattamento con AVK, il 9% con Rivaroxaban, mentre il restante 3% non assumeva alcuna terapia. Sono stati pubblicati i dati a 2 anni di follow up: il trattamento con Rivaroxaban comportava un miglioramento statisticamente significativo degli outcome renali, ritardando l’inizio del trattamento sostitutivo della funzione renale e il declino verso la malattia renale terminale (eGFR < 15ml/min). In particolare i pazienti trattati con Rivaroxaban presentavano rispetto a quelli trattati con AVK una riduzione del 61% del ricorso a terapia cronica renale sostitutiva, una riduzione del 49% del peggioramento della malattia renale cronica allo stadio 5, una riduzione del 38% degli eventi renali avversi clinicamente rilevanti. Questi dati suggeriscono che Rivaroxaban potrebbe diventare il nuovo standard di cura per i pazienti affetti da fibrillazione atriale e insufficienza renale cronica.
A cura del:
Dr. Andrea Ciolli
Responsabile dell’Unità Operativa Semplice / Dipartimentale di Cardiologia d’Urgenza
Ospedale Sandro Pertini – Roma
Bibliography
- M R Patel, K W Mahaffey, J Garg et al. Rivaroxaban versus Warfarin in nonvalvular atrial fibrillation N Engl J Med 365 (2011) 883-891
- Kreutz, R, Deray G, Floege J Rivaroxaban vs Vitamin K Antagonist in Patients With Atrial Fibrillation and Advanced Chronic Kidney Disease JACC Adv. 2024 Feb, 3 (2) 1-11